Julie

“Lei ci sente…”

In questa casa, proprio in questa stanza accadde un fatto realmente sconvolgente. Circa quindici o sedici anni fa, qui abitava un bimbo, si chiamava Thomas, aveva cinque anni e viveva insieme alla sua famiglia, con sua madre, sua nonna e la sorella maggiore assai più grande, mentre il padre viaggiava su e giù per l’Europa. Era un tipetto alquanto strano, faceva fatica a socializzare con bambini della sua stessa età e questo lo faceva sembrare scostante, isolato, un po’ eccentrico. Il suo più caro amico era Mathieu: viveva con lui, dormiva, rideva, giocava sempre con lui, praticamente erano in simbiosi tra loro, nonostante ciò, si trattava solo della sua fantasia, era infatti l’amico più fedele che la sua mente era riuscita a immaginare: un amico con cui avrebbe potuto condividere tutto col vantaggio che mai l’avrebbe potuto tradire. Finché  un giorno non arrivò l’armadio; quell’armadio maledetto che l’avrebbe condotto all’inferno! Un giorno infatti la madre e la nonna di Thomas tornarono a casa seguite dal furgoncino di un vecchio negozio d’antiquariato in centro, solcarono l’ingresso mentre due uomini dallo sguardo asciutto e privi di espressione portarono in salone un armadio in legno antico che posarono nell’angolo della stanza. Obsoleto, Puzzava di marcio; odore che la nonna definiva “inebriante profumo d’antico”. Passarono giorni, uno inghiottito dall’altro mentre Thomas sentiva in casa una presenza costante, in dubbio se fosse negativa, esalata da quel catafalco ligneo; poi cominciò a sentirsi spiato, scrutato. Ogni qual volta volgesse un angolo, si spostasse da stanza in stanza per la magione, percepiva un paio di occhi estranei che lo fissavano; ombre frazionarie che lo seguivano; tutte le sere, origliando meglio fuori dalla porta della sua cameretta udiva dei respiri. Lunghi, prolungati, permanenti. Un giorno poi scoprì che si trattò di una bambina; se non come lui, di pochi anni più grande. Che se pur esile, silenziosa, inerme, c’era, ormai ovunque e indipendentemente, lei osservava con i suoi grandi occhi bianchi. La sognò, erano incubi, incubi bui, gelidi; si chiamava Julie gli aveva detto. Né parlò con Mathieu facendogli promettere di non dir nulla a nessuno ma che se un giorno avesse avuto bisogno di lui avrebbe dovuto aiutarlo. Quel suo amico, se pur immaginario, non si presentò mai. Fino a quando una sera, a cena, non se la trovò davanti, compostamente seduta insieme agli altri commensali: vide la bimba dai folti e ricci capelli rossi proprio accomodarsi di fronte a lui con il piatto vuoto che lo fissava, Thomas allora impietrito dal terrore si voltò verso la madre incapace di esprimersi, poi all’improvviso la vide… aggredire affamata il suo piatto, intenta a ingurgitare una montagna di larve, bacherozzi, lumache, grilli e cicale dalle patine molli e dalle corazze croccanti! Dal suo piatto era come se fuoriuscissero insetti e bestie nere che sibilavano tra il rumore di bicchieri e posate mentre la bambina se ne riempiva la gola. Thomas rimase pietrificato allo spettacolo che gli parve davanti, trattenne il respiro, non smise di fissarla mentre conati di vomito bombardavano il suo stomaco fino alla lingua… intanto la madre, accortasi che ci fosse qualcosa che non andasse, sfilò il coltello dalla carcassa di maiale e lo posò sul lembo del piatto fermandosi di mangiare. Fissò per un paio di secondi Thomas che era quasi ipnotizzato verso il “nulla” e poi domandò: <<Beh? Cosa c’è?… Ohi Thomas, parlo con te… non hai fame, non ti piace?…>>, il figlio rimase zitto così riformulò la domanda alla quale Thomas parve svegliarsi da un’ipnosi; il bambino si voltò inquieto verso la madre, poi tornò a guardare davanti a sé nel giro di pochi attimi e vide la sagoma della bimba che sfuggiva fulminea in un’ombra scura oltre la porta della cucina che gli dava di spalle; subito si voltò dietro e vide il profilo spettrale della bambina aprire un’anta dell’armadio nero, entrare e richiudersi in quel ripostiglio oscuro. Non si mosse più nulla, non si udì più nulla… era sparita insieme a tutto il resto, le sue posate, il suo bicchiere, il suo piatto fluente di mosche e scarafaggi… in tavola, al suo posto, non vi era più nulla! Non vi era stato mai nulla agli occhi degli altri…

La madre di Thomas allora esclamò: <<Thomas si può sapere cos’hai? Sei strano ultimamente… sei del tutto assente!…>> lui si voltò: <<C’è una bambina in casa…>> <<Ah sì?…>> rispose la mamma fingendosi incuriosita <<Sì, si chiama Julie…>> <<Ho capito. E… e da quant’è che vive con te?>> <<Non lo so di preciso… è arrivata insieme all’armadio!>> <<Va bene, su… ora sei stanco vai a letto, evita di vedere la televisione stasera…>> sospirò monotona la madre mentre la sorella sghignazzava sottovoce e la nonna ingoiava l’ultimo boccone di carne arrosto. <<Ma devi credermi mamma! Stava davanti a me poco fa… mangiava! Stava mangiando tanti insetti>> ribatté lui, <<Thomas perché un giorno di questi non provi a fare amicizia con qualche bambino del quartiere?>> ovviò la madre assecondandolo, <<Ha mangiato vermi! Tutti l’hanno vista! Scommetto che anche Eleanor l’ha vista!>>, <<l’abbiamo perso…>> esclamò la sorella sorridendo con la faccia rivolta nel vuoto del piatto, <<Dai fila a letto e non mettere in mezzo tua sorella in queste fantasie!>> disse infine la madre accompagnando Thomas nella sua cameretta <<…Abbiamo già abbastanza problemi senza amici immaginari…>> borbottò sottovoce.

Gli eventi comunque proseguirono imperterriti sotto varie forme. Thomas vide quell’angelo demoniaco ovunque, percepita oltre gli spioncini, in cima alle scale, sotto il letto, in cortile, dietro i muri, riflessa negli specchi, tutto apparve come ombre fulminee, tempestive, impercettibili. Da quel giorno in poi per quattro giorni, tutte le sere, la bimba apparve seduta in tavola pronta a divorare la sua solita, raccapricciante pietanza per poi, come fino ad allora, rinchiudersi nell’armadio scomparendo nell’oscurità del ripostiglio e senza mai essere vista né distinta dal resto della famiglia! Thomas non volle più cenare insieme agli altri, si accontentava di scrutarli mentre cenavano dalla cima delle scale, nascosto, chiedendosi come fosse possibile che nessuno vedesse quell’anima che anche se posasse a pochi centimetri da loro… accanto ai loro piatti, dai loro visi, dalle loro anime… lei c’era, la vedeva, questo contava per lui, non era immaginazione, non erano fantasie, non era tantomeno una sua nuova “amica immaginaria”… l’armadio era la sua casa!

Calarono le tenebre, con esse nacque la sera, le ombre fuori si allungavano sempre più, nessuno aveva ancora cenato, la nonna stava apparecchiando come sempre faceva. Thomas, turbato, era seduto a terra a gambe incrociate davanti al mastodontico armadio in legno massello. Immobile pensava, non aveva paura, ormai sapeva, conosceva la nuova routine degli ultimi giorni… sarebbe apparsa durante la cena, o forse in un flash alle sue spalle?… aveva cominciato a conoscerla, non la temeva, la voleva soltanto fuori casa per sempre, per sempre! Poi alle sue spalle apparve invece la madre: <<Cosa vuoi fare stasera? Torni a cenare con noi?>>, <<No, mai, mai finché non se ne sarà andata… finché voi non la manderete via!>> ribatté d’istinto, <<Senti, perché non provi a parlare con lei allora? Come hai detto che si chiama questa bimba?>> <<Julie… lei vuole solo stare con noi. Voi l’avete portata a casa…>> <<Thomas noi non abbiamo portato a casa nessuno! Magari prova chiederle perché non se ne và>> propose nuovamente lei. Lui, imperturbabile ma inquieto continuava a fissare il vuoto, l’oscurità all’interno dell’armadio, attraverso la fessura centrale come faceva da ore ormai, poi si alzò cercando di mostrarsi deciso; la madre allora sorrise con un accenno mentre Thomas s’avvicinava lentamente alle ante sbarrate del mostro di legno. Nonostante la televisione cantasse, nella sala era stesa una nebbia silenziosa, assassina… Thomas aprì lentamente la porta del suo inferno, azzardò per entrare, la prima cosa che vide furono un paio di scarpette celesti avvolte nel buio, <<Vieni Mathieu, stammi vicino…>> sibilò rivolgendosi al suo amico, il suo amico immaginario… si avvicinò ancor di più, posò un passo all’interno del guardaroba, udì degli echi lontani di risate infantili: pochi secondi; chinò il volto poi d’un tratto, nel buio, sprofondò fulmineo nel legno! Urlò come stesse precipitando nel dirupo dell’ade, urlò, sempre più lontano, urlò gridando <<MATHIEU! Mathieu! Aiutami! Dove sei?…>> e per l’eterno scomparve, inghiottito dall’oscurità dei morti! Sparì nel vuoto; finché, in un gelido istante la madre strillò vedendo il suo bimbo deglutito nell’oblio. Nel buio dell’armadio! Calò presto il sepolcrale silenzio della morte in un tempo che pare ormai così remoto, ma non sono tanti i quindici anni che separano quell’evento, quella famiglia, quel bimbo, da me. Si odono ancora gli stessi silenzi, le lunghe attese, l’intervallo che intercorre  tra passato e presente. Sono davanti a quell’armadio, questo armadio, mi avvicino, ascolto le grida nella quiete, nell’assenza di rumori, oltre il caos dell’odierno, eccolo lo vedo, delineato tra le venature scure del legno antico; eccolo lo vedo, disegnato tra le curve ondulate, è il volto del bambino, par che ancora gridi dall’inferno, dall’eterno, circondato da altre ombre, da altri morti, da Julie: l’angioletto del demonio…

~ di darkray su 16 aprile 2010.

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