Gioiello di morte: Passioni velenose

Se una persona muore in preda ad un fortissimo dolore o alla rabbia… quell’emozione rimane… e diventa una macchia per il luogo della morte… la sua memoria è indelebile e fa ripetere l’evento… la morte diventa parte di quel posto… e uccide tutto quello che tocca… una volta che ne sei entrato a far parte… non ti lascia più andare… mi dispiace!

Dolcemente ella sfilò dalla spalla sinistra la manica gonfia della veste corvina. Sapeva di essere travolta dall’amore, o forse più propriamente da una irrefrenabile passione barbarica; l’inarrestabile voglia di sfogarsi sessualmente, desiderava solo il forte odore di maschio penetrare in lei, nel suo profondo intimo! Lei invocava sostegno e pietà dal suo matrimonio: folle accordo politico tra stati; chissà se Lucrezia amava realmente suo marito… il suo terzo marito… il nobile e fiero Alfonso d’Este. implorava comunque sfrenata passione, ambiva distrarsi dalle questioni politiche e gentilizie; voleva amore in questo momento, solo amore, sia esso legittimo che traditore! Lucrezia allora si gettò sul grandissimo ed ampio letto a baldacchino, mossa da travolgente lussuria. L’ambiente invocava la sfrenata passione, l’impetuosa carnalità: la grossa alcova brillava di porfido rosso lungo i pannelli delle spaziose pareti; i soffici divani e sofà, sparsi attorno ad un caldo camino ardente, scintillavano di morbido velluto vermiglio; il letto, simbolo miliare della sala, regnava dominante al centro dell’atrio, sempre morbido ordinato e dai delicati tessuti ricamati parsimoniosamente da fili d’oro e amaranto con cuscini scarlatti. L’ambiente dominava e rapiva i visitatori con tutte colorazioni rosse. Una donna come lei, altezzosa e fiera di portare in capo il nobile orgoglio dei Borgia, ardeva di passione.

Cristoforo non si fece supplicare alla passione che divorava anche lui e si avvicino barbaramente alla formosa donna che lo attendeva peccatrice su quel letto d’amore; si chinò dolcemente sul petto della nobildonna, la sfiorò con sguardo perverso, quasi allucinato e odorò il forte profumo di donna sulla sua pelle… Lucrezia amava i delicati torpori dei massaggi al corpo e l’intenso effluvio delle fragranze e balsami provenienti da Venezia: fresche sensazioni di erbe ed acque profumate.

Cristoforo non resistette all’istinto carnale dell’essere umano: quasi brutalmente strappò dal petto di Lucrezia il soffocante corsetto attorno alla vita. Sfregò il suo seno, il suo sesso, i due corpi, accompagnati da sottili fremiti passionali, erano diventati una sola cosa. Lucrezia percepì attraverso la stoffa dei pantaloni del suo segreto amante, il sesso emergere in una morsa sfrenata. Ella accarezzò, afferrò, strinse poderosamente i bruni capelli di lui il quale eccitato come non mai diede sfogo alla sua brutale durezza… Lei lo adorava; afferrò con i suoi artigli la camicia biancastra, elegante, e la squarciò come un maiale al macello. Rimase nudo come lei. Lucrezia si sciolse l’accurata pettinatura, mostrando i suoi lunghi e brillanti capelli di ciocche bionde e dorate; poi, come mossa da una forza demoniaca in sé si aggrappò alla robusta carne del dorso di Cristoforo. Pensava solo al suo corpo, alla sua bruta forza… Lui le stringeva i polsi, poi bloccava le delicate spalle bianche di Lucrezia, mentre penetrava sempre più forte… sempre più a fondo…

L’immenso ambiente della camera rossa ora urlava di gioia, di piacere, di passione ingovernabile… mai quella sala emise simili diletti! Lungo i corridoi si poteva percepire la loro segregata pazzia sessuale. Anche se tutti sapevano degli amori di Lucrezia, dei suoi spasimanti che quasi giornalmente solcavano la soglia di quella stanza, nessuno doveva osare fiatare… le passioni dovevano entrare ed uscire di lì senza appezzamenti. Era un quotidiano segreto, una doverosa omertà. Le urla, la carne, i gemiti, il sangue, il piacere, tutto doveva essere sigillato da quelle mura, da quel castello. Alfonso d’Este, marito di Lucrezia l’amava, fino alla follia; Lucrezia amava suo marito, ma l’amore e la passione da tempo ormai non s’incontravano tra le camere da letto del palazzo. Tutti amavano tutti, ma sesso e erotismo erano questioni a sé. Lui prima di emettere l’ultimo colpo passionale, strinse gli occhi per pochi secondi, mentre lei gridava sempre più, poi lì riaprì e violentemente fiondò le mani sui grandi seni di Lucrezia; erano grandi, pieni e sodi; strofinò forte il viso tra le due mezzelune. Erano ormai arrivati al fondo: la cruda passione tra i due era al culmine. Lei soda e sensuale gridò per l’ultima volta… era fatta! Lucrezia e Cristoforo rimasero nudi l’uno accanto all’altra dopo aver passato quei minuti di frenetica attrazione; stremati, come al termine di un’incessante battaglia, sospirarono affiatati tra le gonfie coperte del baldacchino. Lui accarezzò appassionato il petto nudo di Lucrezia: vezzeggiò i suoi capelli mossi, il suo sguardo nobile, le sue forme, i suoi capezzoli, scendendo sino all’ombelico. Lei lo guardò entusiasta, lo sguardo gli brillava di rosso fuoco, come le i suoi occhi; distese la delicata mano sul volto dell’amante, gli sfiorò la corta barba pizzicante e dura ricambiandogli la dolce espressione con un freddo sorriso… era passata!

Fuori dai giganti finestroni che scoperchiavano la parete ovest della sala principesca, fluttuava la gelida atmosfera notturna e limpida del pieno inverno; mentre un delicato e sottilissimo spicchio di luna brillava di freschezza in mezzo al cielo buoi, cristallino e stellato. Era una notte come tante d’altronde: mistica e silenziosa, sempre avvolta dall’oscurità. Le altre sale dell’immenso castello bombavano di cupo silenzio, che da poco si era calato, soffocando gli altri freddi saloni del palazzo. Cristoforo socchiuse gli occhi soddisfatto e compiaciuto dalla “buona compagnia”; Lucrezia stette immobile per qualche altro breve istante nel letto accanto a lui, poi si alzò dolcemente: stregata dalla turchese luce notturna, fredda e silenziosa. Si avvicinò ai pesanti tendaggi dei finestroni; sfiorò i vetri, erano gelidi… lì accanto a lei, posava un piccolo tavolino in vetro e dalle affilate gambe auree; lì sopra giaceva un piccolo piattino di raffinata ceramica bianca con delle olive nere e qualche piccolo fungo scuro dalla larga cupola bruna; un paio di posate di elegante argenteria con un candido fazzoletto in lino bianco; e in un angolo del vassoietto c’erano due raffinati calici in cristallo con preziosi intarsi d’oro e d’argento insieme ad una bottiglia di vino frizzante. La nobildonna allora versò in parti uguali qualche dito di vino rosso in entrambe le coppe; poi si fermò con sguardo quieto ma tenebroso ed inquietante… sollevò l’affusolata mano sinistra, la guardò, la contemplò, la venerò, accarezzando con l’indice della mano destra un anello d’oro decorato a intarsio. Raffigurava, cosparso ai bordi da piccolissime pietre preziose di smeraldo puro, lo stemma della casata; emblema nobiliare dei Borgia: un superbo e valoroso toro. Allora Lucrezia lo sfilò attentamente dall’anulare, e dopo aver ammirato quel suo prezioso gioiello, lo strinse ai lati aprendosi come un’ostrica preziosa, rivelando l’interno del suo cuore!

Sembrava zucchero, sembrava una spezia, sembrava oppio, tutto sembrava fuorché ciò che realmente celava… verso così, in un brivido fulmineo, la bianca porpora in uno dei due calici, svuotando completamente l’anello cavo. Presto la miscela svanì come uno spettro nel rosso sangue del vino, sparendo tra la fresca tintura vermiglia… Lucrezia senza proferir parola si avvicinò a Cristoforo, sveglio ma con occhi chiusi sul letto: <<Bevi mia cara creatura… per sempre insieme io voglio stare!>> egli valoroso ma incauto afferrò il bicchiere di cristallo contenente la miscela velenosa, la “Cantarella” mista al vino, accettando la sua proposta meravigliato; entrambi sorseggiarono… entrambi bevvero…

Subito dopo mostrò a Cristoforo, senza alcun pudore, un delicato spuntino, una prelibatezza tipica degli ospiti in casa Borgia: un piattino contenente dei funghi, dei “Cortinarius Orellanus”, funghi epatotossici, mortali! Egli non esitando e spronato da Lucrezia ne prese uno senza ulteriori complimenti…

Ella riposò dunque i calici ed il piccolo piattino sul vassoio vitreo e soddisfatta quanto orgogliosa si rinfilò sotto le coperte calde. Frenetica dalla passione omicida, ora avrebbe dovuto solo attendere… attendere che la sua pozione, oltre ai funghi fatali, facesse effetto, una pozione crudele e malefica a base di veleno, veleno mortale, un veleno di sua creazione, una sostanza tossica composta da arsenico: la “Cantarella”… il veleno prediletto dalla famiglia Borgia e da Lucrezia in particolare! Aspettò così le sue solite ventiquattr’ore.

Il giorno successivo Lucrezia si svegliò dall’abbraccio della sua preda. Ella nonostante le numerose incitazione fattesi da Cristoforo nel corso della giornata, rimase impassibile ed orgogliosa del suo essere, ripudiando ogni sua attenzione, e cercando di distaccarsi il più possibile da lui, adocchiando amorosamente altri uomini di corte… fino a che non calò nuovamente la notte, quando, procinta  a consumare, in compagnia di altre regali presenze, la sua cena a base di carne rossa ed ottimo vino, dagli appartamenti reali non sopraggiunsero interminabili urla di dolore… Cristoforo stava naturalmente morendo, tra la complicità del palazzo e della corte! Così Lucrezia scusandosi regalmente con gli altri commensali, ognuno dei quali vanitoso di poterla conquistare ed entrare a far parte delle grazie dei Borgia e delle loro ricchezze, sempre con atteggiamento decorosissimo e taciturno, raggiunse la sala da cui provenivano i deliri ed aprì lentamente la porta. Lo spettacolo che si presentò al suo cospetto fu sconcertante ma ella rimase composta, limitandosi solo ad osservare gli atroci dolori di Cristoforo nei suoi ultimi atti di vita… come una vedova nera intrappola ed uccide il compagno nel suo macabro accoppiamento, Lucrezia guardò impassibile l’ultimo uomo ad averla desiderata… Giaceva a terra ormai esanime contorto dagli spasmi nevrotici; i suoi occhi avevano raggiunto un colorito biancastro e violaceo, mentre dalla bocca colava, in un fiume di bava, sangue e densa schiuma grigia, rigettata intorno alla testa ed al corpo, su tutto il pavimento e in un angolo del pesante tappeto ottagonale della sala… ella si avvicinò con atteggiamento superiore e rimase a fissarlo, poi si chinò sul suo corpo, facendo particolare attenzione a non sporcare minimamente la sua larga veste verde scura. Lo guardò stando zitta, lo afferrò per un fianco e lo voltò verso di lei… Lucrezia non fece nulla… soddisfatta dei suoi centinaia di omicidi, si chinò ancor di più baciando il petto del suo uomo come ultimo addio!

La duchessa allora prese il corpo con forza sovrumana afferrandolo da sotto le braccia possenti; lo sollevò poderosamente e trascinando il cadavere dell’amante ancora caldo sino alla soglia dell’ampia finestra centrale della parete; posò il corpo esanime su un cassettone in legno di noce e spalancò le vetrate. Un soffio di gelida aria serale inondò l’appartamento. In quell’angolo del castello calò il silenzio… Lucrezia allora, pronta a disfarsi della sua preda, incaprettò con una corda in cuoio scuro il cadavere, stringendo nodi scorsoi intorno a polsi e caviglie, si avvicinò strascinando la salma sul pavimento fuori dal balcone. La campagna circostante ululava di taciturnità; così rialzò il corpo dell’uomo sulla balaustra e lo gettò dall’ultimo piano del nobile palazzo. Un macabro rito tradizionale dei Borgia, in particolare di Lucrezia stesse, la quale ogni volta dopo aver posseduto un uomo, e dopo averlo avvelenato, era di suo solito gettare i cadaveri dei malcapitati nel torrente, appena addossato all’ala ovest del suo castello, così ne sparissero le tracce…

La nobildonna si ripresentò subito dopo alla sua tavola, girando attorno ad essa con sguardo erotico ed appassionato verso gli altri uomini di quel banchetto… <<Chi vuole riscaldare una delle mie nottate insieme a me?>> chiese con tono gioioso… tutti s’alzarono, Lucrezia sorrise e strinse la mano ad uno dei suoi uomini, ritirandosi in festose risate in uno dei suoi letti… ancora pronta per un’altra notte… ancora pronta per un turno del suo macabro giochino, tra sesso e passioni, tra urla e tormenti, tra funghi e gioielli di morte…

~ di darkray su 1 aprile 2010.

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