Carillon

Vorrei farti sapere che ti ho salvata. Non quando contava ovviamente, ma dopo la tua morte. Ogni notte dopo quel giorno. Rivivo tutto e faccio sempre qualcosa di diverso. Qualcosa di più veloce e più furbo, capisci? Dozzine di volte, in tanti modi diversi. Ogni notte, io ti salvo…

La casa che ho appena acquistato in periferia di Kamtinville ha una strana leggenda impregnata nelle pareti scure delle sale che ora mi circondano, è un’abitazione piuttosto antica, risalente agli inizi del 1800 quando la ricca famiglia dell’epoca, unica proprietaria di questi terreni di nome Bankester, si costruì una grande residenza nella quale essi si stabilivano nei periodi invernali, piuttosto intensi e prolungati in questa regione. Si racconta che la grande villa fosse stata costruita per volere di Tomas Bankester, per le sue uscite quotidiane nei boschi adiacenti, poiché esperto cacciatore e amante della caccia alla volpe. L’aristocratica casata vi abitò per circa sette anni quando, dopo la nascita di una bambina, Klara Bankester, nel 1837 l’intera dimora venne avvolta da un misterioso incendio, nelle ultime ore del giorno, in cui la famiglia perì in pochi minuti. La piccola Klara non aveva più che quattro anni, e l’unico sopravvissuto, Manuel Bankester (reverendo del paese), diede l’allarme non appena uscito dall’abitazione, ma i soccorsi non servirono a molto, anzi quasi a nulla: il nucleo famigliare fu annientato in breve, prigionieri di quelle mura, mentre la bambina venne ritrovata in un angolo “intatto” della villa, forse un spiraglio sicuro, ma il corpicino fu recuperato esanime mentre con le braccia affusolate stringeva in petto il suo carillon.

In molti rimasero sconcertati del’accaduto. Si dice addirittura che la disgrazia fu una maledizione premeditata qualche anno prima, quando Tomas, il proprietario della magione, organizzò un complotto verso il cugino politicamente avverso, in cui venne assassinato e a seguito di tale cospirazione, una maga, una strega o forse una semplice miserabile, scagionò una maledizione alla famiglia Bankester e alla loro ultima dimora. In molti sostennero che l’accaduto sarebbe potuto essere evitato. Di lì a poco tornò a governare un’altra potente famiglia, seppellendo definitivamente le radici dei proprietari originari e riportando la “normalità” nel villaggio.

Il vero mistero che però segreta nella struttura ottocentesca, è l’insolito avvenimento che succedette a seguito dell’incendio devastante: la casa, dopo le taciturne esequie, si ritrovò intatta in ogni sua forma e spazio; nessuna traccia di detriti, calcinacci né tantomeno residui incendiari; le distese macchie a chiazze nere e marroni svanirono, il soffitto affrescato e grottesco del piano centrale, crollato su altre macerie al piano inferiore, venne ritrovato completamente intatto e del tutto assestante. La casa era arieggiata da un umida atmosfera silenziosa; un clima mite ma inquietante e sinistro.

Da poco quella famigerata casa è la mia nuova casa, acquistata dall’immensa fortuna lasciatami in eredità come unico erede dalla mia famiglia. È bella, quieta e accogliente;  numerose volte passandogli accanto m’incantai nel guardarla e soprattutto mi entusiasmava la leggenda che da ormai duecento anni avvolge l’ombrosa struttura circondata da piante selvagge, arbusti e larghi abeti diramanti… In realtà questa costruzione non è molto grande, ma spazia in altezza ben accentuata dai rami dei fusti. Nella prima notte che ho trascorso tra queste pareti intrise di storie e passioni, non sono riuscito a dormire “serenamente”: i pensieri, l’emozione, la stanchezza del lungo trasloco, le varie strane coincidenze che mi hanno permesso di rifarmi una così importante dimora; le riflessioni erano tante.

Poi, da qualche giorno la situazione ha iniziato a diventare più strana e singolare, infatti ho incominciato a fare sogni ricorrenti, sempre quelli. All’inizio trovavo piuttosto entusiasmante ed eccitante sognare ripetutamente la mia nuova casa all’ora del tramonto: il cielo cupo, viola e nuvolo, dei piccoli bambini gridare e rincorrersi tra i sinistri sguardi dei personaggi affrescati alle pareti, muti e immobili, i cinguettii lontani ed echeggianti nelle colline, provenienti probabilmente dalle foreste adiacenti, una piccola fanciulla, forse la giovane Klara, gioca appartata in un angolo di una sala con un antico carillon, poi all’improvviso un inferno di pianti e urla: la casa distrutta, fiamme che dirompono l’intera magione, e in pochi attimi cala il silenzio in casa Bankester… Ma ora questo sogno, quasi un incubo, sta invadendo la mia mente, nelle ripetute visioni, le stesse ogni notte, man mano diventano sempre più lucide e nitide nei miei sogni, come se stessi attraversando un fitto banco di nebbia: all’inizio l’orizzonte e gli oggetti lontani appaiono confusi e grigi per poi prender forma e nitidezza avvicinandosi. Era entusiasmante rivivere in sogno la brutale vicenda della casa, ma ora, lentamente sta ossessionando i miei pensieri. Qualcosa in me non mi eccita più quanto prima… non sono tranquillo.

Finalmente oggi è stato l’ultimo giorno di trasloco; per ora il silenzio fluttua tra i miti delle pareti. Mi manca ancora una televisione, quindi decido di buttarmi sul letto e leggermi un buon romanzo per tentare di godermi una nottata migliore rispetto alle altre. Riesco a leggere circa una decina di pagine; leggermente più rilassato di prima poggio il libro sul comodino accanto alle lenzuola che tiro sino al mento per addormentarmi. Un po’ il timore di quelle immagini drammatiche appaiono come lampi di flash nella mia testa, ma cerco di abbandonarmi ai piaceri del sonno, stendendo ogni articolazione del corpo mentre provo a pensare all’indomani, ai lavori ancora lunghi e in sospesi della casa, così cedo al sonno e mi lascio trasportare dalle braccia di Morfeo.

Il giorno seguente si apre con una strana atmosfera.

Fuori dalla finestra, al di là del vetro, si svela un paesaggio desolato: i pennacchi degl’alberi, sbucano come guglie fantasma da una bruma bianca e fredda, quasi mistica. Compatta e pallidissima come un immenso foglio bianco, la fievole luce penetra nella stanza con omogeneità. Il palazzo, silenzioso e vuoto, odora di antico; dei lontani pigolii echeggiano all’aperto in quell’ambiente assorto e onirico.

Il pallore angelico e misterioso è in sottofondo accompagnato da una triste e sconsolata melodia tintinnante. Suona note malinconiche e un po’ sinistre. Cos’è? Ai piedi del letto, in cui stordito e inquieto giaccio, c’è un logorato tavolino d’antiquariato, odora di frasche vecchie. Su di esso non posa nulla, eccetto una piccola bambola fredda, antica e rigida; una bambola che ruota su se stessa, e che trascina in se quella tetra canzoncina infantile… sì ma chi l’ha fatta girare? Chi l’ha caricata? Quell’arnese non c’era stato prima d’allora… l’avrò trovato ieri tra gli scatoloni del trasloco e momentaneamente poggiato su quella specie di comò? Direi sia impossibile! Nonostante le centinaia, anzi forse migliaia di cianfrusaglie che avevo portato via con me dal vecchio appartamento fin qui, non mi risulta d’aver mai avuto un carillon tanto sinistro ed antiquato! Odiavo, e odio tuttora, aggeggi di questo genere, così strani ed arcaici.

D’un tratto poi si mette a suonare l’unica cosa “antica” che so mi appartiene… l’orologio a cucù al lato della fredda camera, comincia a contare i suoi battiti e quasi in sincronizzazione l’agghiacciante melodia del carillon si interrompe, finendo con un ultima nota sinistra e tirata…

Comincia a farsi sentire la pressione della nuova abitazione, che ormai da giorni pompava pesante gonfiandomi la testa. Dev’essere l’eccessiva suggestione della casa penso sospirando, mentre un brivido gelido oltrepassa la mia schiena come un fulmine si scarica contro un albero bagnato. D’altronde io sono fatto così; quando sento una storia, una leggenda, un mito del passato, adoro impersonarmi nell’accaduto, montandomi però troppo la testa. Ultimamente infatti non è passata una sera senza pensare alla storia della piccola Klara, ma ora basta, ne sto risentendo troppo di questa leggenda, mi faccio troppo suggestionare! Allora mi alzo e fisso preoccupato quanto ancora poco convinto, quella bambola alta una decina di centimetri. Odora davvero di antico, penso… poi, gettandola in uno scatolone pieno di altre cianfrusaglie e carta ai piedi del tavolino, mi dirigo in cucina per accendere il gas e inzuppare una bustina di tè nella caffettiera d’acqua bollente, cercando di distrarmi e riordinare i pensieri di quella strana mattina umida e malinconica. Ma non appena faccio cenno di afferrare la caffettiera dalla credenza in legno, subito resto tramortito e letteralmente paralizzato da terrore, angoscia e stupore. Ora temo per la mia stabilità mentale, mentre non mi spiego come possa essere accaduto: la vecchia statuina danzante è ancora davanti ai miei occhi; la vedo incredulo danzarmi sulle note lente proprio di fronte a me, posata in un angolo della credenza accanto ad un cesto di erbe e aglio secco. È qui, che gira e ruota indifferente sul suo piedistallo roseo. Sento subito in me una fortissima e devastante sensazione di malessere e oppressione interna, come se qualcuno mi stesse fracassando il torace. Sento mancarmi il respiro in gola. Comincio ad ansimare frenetico sull’orlo della pazzia! Poi trovo il coraggio di afferrarla bruscamente, mentre ancora arpeggia e deciso ma tremante la getto fuori dal balcone della stessa cucina! Resto un paio di minuti immobile, taciturno, rabbrividito, restando fermo ad ascoltare il vuoto ed il silenzio che l’intera abitazione propaga come gas invisibile ma tossico. Vacillo come se dovessi svenire, socchiudo gli occhi tremolanti in balia del buio della mia mente confusa, inizio ad avvertire un senso di profondo smarrimento psicologico e percepisco un formicolio intenso e logorante su tutto il corpo, a partire dalle dita delle mani e dei piedi fino a salire e travolgere le gambe, le braccia, la schiena ed il collo. Avverto il malessere del mio stato d’animo così afferro lentamente una sedia, cercando di mantenere il capo fermo e, dolcemente mi ci appoggio sopra azzardandomi a razionalizzare gli strani eventi e provando a riprendermi… Non appena miglioro, mi alzo in piedi, evitando di pensare a quanto è appena successo dallo svegliarmi di questa mattina e mi porto alla bocca un cubetto di zucchero in zollette e distendo i miei pensieri: <<Non sono riuscito a riposare bene stanotte… la stanchezza del trasloco ancora mi pesa!>> ribadisco tra me e me tornando alla solita amata routine. Ma un’amara essenza d’angoscia resta nel mio cuore. Ammorbidisco i movimenti, rallentandoli e rilassando ogni arto del corpo inghiottendo lentamente dei sorsi di tè fumante. Mi distraggo facendo un rapido riepilogo delle faccende della giornata, la quale si presenta fortunatamente piuttosto serena anche se piena; poi mi alzo, poso la tazza sul fondo metallico del lavandino e la riempio d’acqua tiepida, torno ancora un po’ confuso in camera da letto, e tiro fuori i vestiti che intendo indossare, e poi mi dirigo in bagno per iniziare la giusta procedura mattutina: mi insapono affondo il volto, lo sciacquo e mi asciugo, scarico il wc e doso una striscia di dentifricio bianco e celeste sullo spazzolino cominciando a lavarmi intensamente i denti, poi mi risciacquo la bocca con un fresco colluttorio alla menta: ora sono pronto!

Molto più sveglio e tonico di prima, spalanco la porta del bagno facendo un passo per uscirne quando nuovamente un nodo alla gola torna a soffocarmi: per l’ennesima volta quell’arcaico carillon sta intatto e senza un graffio sul pavimento al mio cospetto! Ho paura di essere protagonista di un vero e proprio incubo ad occhi aperti; inutile convincersi di infondate certezze, o addirittura negare, e far finta a se stessi che non stia accadendo qualcosa di realmente insolito e paranormale: la vecchia bambola bianca danza per la terza volta davanti a me come uno spettacolo di morte, sembra infatti simboleggiare, dietro la sua falsa melodia meccanica e il monotono roteare della pupazza in ceramica, il ciclo infinito di nascita e morte, di devastazione e putrefazione, di orrore mescolato ad antichi oggetti infantili di anni e secoli ormai passati. Comunque… è ancora qui…

Le gambe mi oscillano come frasche al vento, ma cerco di restare calmo e razionale: <<Devo uscire e svagarmi>> diretto con quest’idea mi avvicino all’oggetto malefico; lo osservo in ogni suo movimento, ogni suo particolare: nulla di apparentemente strano; è solo la solita monotona canzoncina a ninnananna e un pupazzo che gira su se stesso attendendo la fine di quella “marcia funebre”, ma niente di ché… allora faccio l’indifferente <<Chi se ne frega! Questa balla… e io continuo a vivere…>> ma tra me e me, sapevo benissimo di mentirmi, non sarebbe potuta andare avanti questa situazione, mi rendo conto di essere partecipe ad un evento inquietante e del tutto irrazionale! Non riesco a farmene una spiegazione, dentro di me tremo e ho paura più che mai. Cosa dovrei fare? Andare in un manicomio? O forse in una stazione di polizia a dire <<Ehi! Ho un carillon pazzo che ogni volta lo getto via e ogni volta come se niente fosse lo ritrovo sempre davanti a me!>>? A quel punto sì che mi avrebbero consigliato il manicomio! Ma all’improvviso avverto un barlume di speranza lontano in mezzo a tanta insicurezza e paura. Conosco un amica con delle percezioni ultrasensoriali, il suo nome è Sara Baiker, la conosco da quando frequentavamo lo stesso liceo e da allora siamo sempre rimasti in contatto. Potrei chiederle di venire nella mia nuova casa, e senza tirar la questione troppo per le lunghe, le esporrei la situazione! Prima però, penso, un po’ più placato di prima,  devo gettare il vecchio arnese ancora, sperando magari di svegliarmi solo da un brutto incubo, non voglio fare la figura di un cretino in cerca di attenzioni, se devo chiamarla, devo convincermi definitivamente che non si tratti di un’inquietante scherzo della mia immaginazione travagliata! Con coraggio quindi la afferro per la terza volta e la lancio con tutto me stesso da un finestrone della grande sala; la vedo precipitare in lontananza, subito inghiottita dalla fitta nebbia bianca e atterrare sottoforma di puntino bianco da qualche parte dispersa per il viale. Ora devo solo comportarmi normalmente e pensare positivo, cercando di convincermi che da ora in poi non fosse successo più nulla di queste anomalie paranormali! Sospiro ma non riesco ad arieggiare a pieni polmoni; il respiro mi soffoca a mezza gola trasformandosi più in singhiozzi per l’agitazione che in altro. Mi volto verso il corridoio percorrendolo tutto, passando di stanza in stanza fino ad arrivare alla mia camera da letto ancora turchina dalla fievole luce nebbiosa di quella mattina, apro il guardaroba ed estraggo abiti classici: una giacca blu scura, una camicia bianca e il paio di pantaloni abbinati, e li poggio sul letto dove un’altra volta mi aspettava la solita malinconica melodia tintinnante! <<Adesso è davvero troppo!>> esclamo a me stesso ad alta voce; mentre quell’aggeggio continuava la sua danza infantile, afferro bruscamente il telefono accanto alla porta e chiamo impaziente Sara…

Gli squilli in quest’attimo eterno proseguono senza esito di risposta, i secondi passano, divorandosi l’uno dietro l’altro mutandosi in minuti: sta diventando il periodo più lungo della mia esistenza penso. Sto per riattaccare, stavolta davvero in preda al panico, quando all’improvviso risponde una voce frenetica: <<Sì?>> contesta un verso di donna, <<Parlo con Sara Baiker? Sono Alan!!>> ribatto subito, riafferrando al volo la comunicazione, <<Si sono Sara, ma Alan chi, kitoff?>> <<No! Sara sono io non mi riconosci? Sono Marsden… Alan!>> specifico, risanato da una voce amica! <<Oh Alan! Sai sono contentissima di sentirti! Dimmi, come stai? Hai comprato finalmente casa nuova?>>, con Sara infatti mi ero sentito pochi giorni prima e ci siamo concessi una lunga passeggiata tra vecchi amici nel corso della mia città; <<Sì sì qui tutto bene… anche se le cose potrebbero andare meglio! Senti ti ho chiamato per un tuo aiuto piuttosto urgente, con l’occasione voglio invitarti nella mia nuova casa, almeno la vedi anche tu! Ti prego vieni!>> la supplico infine angustiato dalla giornata, <<D’accordo! Ok ma di cosa si tratta? Non stai bene? Un po’ ti sento agitato? Cos’hai?>> cerca di sostenermi, <<No guarda… stai tranquilla, è meglio parlarne a quattrocchi di fronte ad una rilassante tazza di tè!>> <<Ok! Conta quindi su di me!>> mi fa lei proseguendo <<Ma quando ci vediamo! Ora hai scatenato la mia curiosità!>> <<Oggi ti prego… è urgente>> le ribadisco, <<Per me va benissimo, alle 12:30 ti trovo?>> chiede lei sghignazzando amichevolmente, <<Certo anche prima se vuoi! La strada è subito dopo lo svincolo per Harlaxton, prosegui per un paio di minuti e troverai la mia casa non molto distante dal paese: viale Steinger 13 a Kamtinville>> <<D’accordo, tra una decina di minuti mi preparo e parto, calcola che sarò lì verso mezzogiorno e un quarto, mezzogiorno e mezzo!>> afferma, <<Perfetto, ti aspetto con ansia! Ciao e ancora grazie mille per la tua disponibilità. Sei un angelo!>> <<Grazie! A tra poco allora! Ciao Alan!>> così riattacco la cornetta del telefono. Sospiro fortemente e mi volto verso il materasso: il maledetto carillon è sempre lì, sul cuscino del mio letto, immobile e ormai scarico… Mi alzo su e frugo tra lo scatolone pieno d’immondizia, carte e quan’altro; questa mattina ho gettato per la prima volta il carillon qui… ora sembra essere sparito da quel cesto… Nel mio animo sono turbato, nonostante l’aiuto che solo Sara sarà in grado di darmi, sono ancora terrorizzato dagl’ultimi avvenimenti paranormali, quasi spiritici… Mi vesto e decido di attendere la mia amica nell’androne di casa, cercando di distrarmi il più possibile.

Sono le 12:15 quando sento i sassolini scossi e schiacciati sotto le ruote di una vettura che tenta di far manovra nel piazzale della villa; non mi faccio attendere e corro verso il portone dell’entrata. <<Ciao Alan! Allora… finalmente una nuova casa! Davvero entusiasmante!>> subito lei mi fa, io resto fermo sulla soglia del portone ad ammirarla, a contemplarla come se fosse apparso un angelo bianco ad annunciare un’eterna salvezza. Si avvicina <<Allora che fai? Non mi fai entrare!>> scherzosa esclama, <<Oh certo! Prego entra… dimmi che ne pensi>> lei continua a parlarmi: una serie di complimenti, domande sull’arredamento, con sguardi di stupore scolpiti in faccia, ma non la seguo, non l’ascolto, piuttosto cerco di pensare a come avrei potuto attaccare il discorso… <<Oh cielo! Tieni anche tu oggetti di questo gusto?>> esclama afferrando il carillon rimasto in camera da letto sul candido cuscino! A questo punto non devo farmi perdere l’occasione! <<Infatti… di questo volevo parlarti… vedi… stanno accadendo cose strane ultimamente: la notte sogno la leggenda della casa in prima persona: la casa, i bambini, Klara, le fiamme, il carillon…, e da questa mattina le cose stanno peggiorando!>> espongo facendola accomodare su una sedia accanto al letto; <<Cosa intendi? Che significa “peggiorando”?>> subito lei ribatte cambiando radicalmente sguardo ed espressione; <<Questo carillon… lo vedi… stamattina me lo sono trovato di fronte; non l’ho mai visto prima, eppure mi sono svegliato con questo scampanellio! Senza badarne tropo l’ho gettato nella spazzatura; niente da fare, pochi istanti dopo mi è riapparso davanti in cucina, a una quindicina di metri di distanza dall’alcova; impaurito l’ho rigettata dal balcone e incredulo sono andato in bagno per sciacquarmi il viso quando per la terza volta ricompare la bambolina danzante a note martellanti. Ho avuto paura, ti ho pensato. Ti ho pensato tanto sperando che mi potessi aiutare così l’ho lanciata con tutta la mia forza fuori dalla finestra del salone, proprio di fronte al bagno; allora sono tornato in camera da letto e per l’ennesima volta l’ho ritrovata sul guanciale!… ti ho telefonata>>, ella resta taciturna a penetrare il mio sguardo, mista tra incredulità e diffidente, come se fosse protagonista di un malsano scherzo! Mi fissa, continuando a scrutarmi scetticamente. Non riesco a trattenere gli occhi lucidi e una lacrima piena e corposa cala sulla mia guancia sinistra senza però sfogarmi, cercando di trattenermi in dignità. Il volto candido di Sara cambia subito aspetto, facendo scivolare la sua mano lungo il mio braccio teso… <<Vedi, forse dovresti svagarti…>> mi dice, <<Anch’io ho pensato lo stesso, ma ti giuro che queste non sono balle! Cazzo, non ci sto capendo più niente!>> ribatto tirando su con il naso; poi proseguo afferrando l’oggetto malefico e passandomelo di mano in mano: <<Ho provato, provato, riprovato a svagarmi e comprendere un come e un perché stessero succedendo queste cose! Ma ogni volta mi ritrovo in faccia questo strafottutissimo carillon maledetto! E tutti quei sogni fatti sino ad oggi… perché?>> <<Alan dammi retta! Questa campagna per ora è troppo desolante, usciamo insieme, svaghiamoci. Come l’altra volta! Ci stai? Vedrai che, dopo un pomeriggio passato insieme per negozi, vedrai che tutto prenderà un altro aspetto!>> <<Ok…>> accetto sconsolato, sapevo che così non sarebbe migliorata di molto la situazione, ma forse aveva ragione! A lei sono capitate queste cose, ha provato queste stesse sensazioni meglio di me più volte e forse bastava davvero una spensierata passeggiata in compagnia. Solo io e lei a fare shopping allegramente… forse bastava solo questo!

Abbiamo trascorso l’intera giornata sperperando tra negozi e grandi firme, più che altro solo per svagarci e darci una giornata di riposo e rilassatezza ristoratrice l’uno per l’altra quando ecco arrivare l’ora di salutarci: <<Grazie per la splendida giornata! Ora va tutto un po’ meglio!>> affermo stringendo la mia spalla contro la sua mentre continuiamo a camminare lungo il marciapiede; lei ondula le due grandi buste firmate Calvin Klein e Prada: <<Anche io spero che ora tornerai il solito Alan di sempre. Meno stressato soprattutto! Ricorda: ogni volta che qualcosa non torna, una buona passeggiata in compagnia con una buona amica è sempre la cosa migliore e comunque sappi che mi trovi a tutte le ore del giorno e della notte! Un’amica non lascia mai solo un suo amico…>> dice Sara fermandosi ad uno svincolo del corso e guardandomi sinceramente negli occhi. <<Certo!>> affermo, <<Telefonami per un’altra di queste giornate! Ci conto e… mi raccomando. Più rilassato, stai più rilassato!>> mi dice abbracciandomi forte e dandomi un lungo bacio di conforto sulla guancia, <<Va bene, grazie… allora a presto ok?>>. E dopo averla salutata mi volto per tornare al parcheggio. Ripercorro i medesimi passi appena fatti insieme lungo il viale lucente di luci, vetrine e persone; riflettendo sulla giornata; ma sento tornarmi quella strana sensazione in gola, come un nodi, come una fiamma riaccesa, un’angoscia ancora viva… alzo lo sguardo alle cristalliere, mentre mi sembra estraniarmi dal resto della folla. Mi sento osservato al di là delle vetrine, oltre i vetri, continuamente in ogni passo lungo e spedito, sembra come se qualcuno e qualcosa mi stesse spiando dietro i prodotti esposti dei negozi quando l’incubo riaffiora devastante; rallento oppresso e mi soffermo su una bacheca esposta di una gioielleria: posati accano ad una cascata di gioie, ori e argenti, giravano senza sosta sei carillon, gli stessi carillon che hanno invaso la mia casa! Girano insistenti senza sosta, tuonando con il loro fragile tintinnio la ninnananna di Brahams: la stessa che suonavano gli inquietanti carillon apparsi nelle sale della mia casa! Ma non finisce qui; proseguo affannosamente e incredulo quanto terrorizzato lungo le altre vetrine; piazzate ovunque, gli stessi carillon costellano ogni genere di negozi: nelle vetrine di giocattoli, cioccolaterie, abbigliamento, alimentari, souvenir, e ancora nei locali pubblici, esposti nei bar accanto ai panini congelati, nei ristoranti accanto ai menù etc… l’incubo non è affatto finito, esso peggiora come una malattia incurabile! Divora ogni angolo della città, delle strade, della mia mente! Comincia una corsa frenetica verso un’uscita da questo interminabile shock! Accelero istintivamente il passo come se inseguito da qualcuno. Temo per la mia vita. Sfilo il cellulare e compongo il numero di Sara: squilla, squilla ininterrottamente ma senza esito positivo. Non risponde! Provo travolto da un tornado furioso di paura, inquietudine e oppressione al cuore a telefonare al numero di casa: suona sempre in lunghi istanti di follia frenetica, suona come campane a morte, rimbomba nelle mie orecchie a ritmo dei battiti cardiaci, disturbato nel caos più totale ed asfissiante della gente dei negozi, dei turisti, dei bambini lungo lo stradone affollato da urla informi! D’un tratto ecco interrompere quei lunghi rintocchi intermittenti oltre il cellulare: <<Sì?>>, <<Sara sono io, Alan!>> urlo disperato, in corsa verso l’uscita di quel tunnel di follia… <<Alan cos’hai?>> chiede indifferente, <<Sto sull’orlo dell’esaurimento nervoso! Credo di diventare pazzo! Sono qui… sono ovunque… sono dappertutto!>> <<Alan calmati cosa sta succedendo?>> ribadisce Sara, <<Aiuto!>> strillo ansimante dalla corsa interminabile e senza meta <<Alan tutto ciò che vedi è solo frutto della tua immaginazione! Fino ad un secondo fa era tutto tranquillo! Ora l’unica cosa di cui ti devi preoccupare è tornare a casa e farti un buon sonno… pensa oltre, non a quello che ti è successo e visto!>>, osservo i passanti, scruto ogni loro movimento velocissimo, schivo orge di passanti ridenti, d’un tratto vedo attraversale lenta una carrozzina trainata da una donna pesante e cadaverica, dai lunghi capelli sciolti neri; osservo meglio spaurito e tremate dallo smarrimento, la bambina nel passeggino dorme assorta da mille sonni, ha il capo ritorto verso destra e stringe sotto il braccino destro il carillon fantasma! <<Aaaaah>> gemito prima di riattaccare la comunicazione… Corro all’impazzata contro tutti e finalmente approdo al parcheggio. Non mi soffermo. Salgo sull’automobile e sfreccio palpitante come un siluro verso casa. Fuori, stende le braccia il crepuscolo.

 Appena arrivato scendo dall’autovettura sbattendo lo sportello e sospirando alla ricerca di un attimo di pace e tregua: non voglio niente, solo stare tranquillo a riflettere e cullarmi sotto le lenzuola del mio letto; in questo preciso istante sarei in grado di rivendere tutto pur di tornare alla mia vecchia casa, alle mie vecchie abitudini, alla mia santa serenità. Anche se può sembrare assurdo, preferisco essere qui, nel giardino di casa mia, pur sapendo che tutto ha avuto inizio in questo luogo, piuttosto che ripensare all’incubo appena vissuto lungo il corso di Emilio II, in città.

Faccio penetrare le chiavi del portone nella macroscopica serratura in ferro scuro, entro e non accendo luci, preferisco non guardare cosa si cela al di là di queste tenebre, nonostante tutto lascio le enormi tende dei finestroni aperte che fanno filtrare i fievoli raggi turchini della luna lontana, che lasciano intravedere solo soffusi contorni bluastri di spigoli e oggetti e in silenzio mistico mi ritiro in camera da letto. Sto riuscendo a non pensare agli orrori della giornata, bensì riesco a distendere la mente subito dopo essermi spogliato e coricato. Le immense ante dei finestroni sono spalancate in camera da letto e i tendaggi leggeri, quasi trasparenti, ondeggiano al fluttuar del vento esterno, gonfiando immensamente i teli delle tende prima drappeggiate ed ora distese e abbombate. La fresca e lugubre brezza accarezza le lenzuola, le pareti, i cristalli del lampadario a gocce, facendo rilassare angosce e tensioni di ogni genere… basta tenere le luci spente per non vedere…

 Le ore notturne, nonostante ciò, trascorrono tra gemiti, risvegli e strane immagini oniriche; confondendosi tra sogni e incubi, ma questa volta il sogno ricorrente non era più come le altre volte, bensì diverso: ero nella casa Bankester, la mia casa, insieme ad altri bambini; un po’ mi sentivo spaesato e smarrito in quell’ambiente pieno di urla festose di bambini, forse anche per la notevole differenza di età, ma d’un tratto vedo una luce bianca e celeste sfondare dalle finestre dell’immenso salone affrescato di figure ottocentesche. Questo bagliore accecante si distende per l’intero ambiente stuccato, d’un tratto vedo apparire dal nulla la figura della bambina, Klara, con in mano il suo carillon bianco e tintinnante; io la guardo, lei mi sorride taciturna e io le ricambio il gesto con la stessa espressione, poi avverto una forte presenza, una forza, una spinta dalle spalle ingovernabile, mentre il resto della villa rideva insieme agli altri fanciulli, tutto lentamente tace, e rimango solo io e la bimba con le braccia aperte, tese, con il piccolo giocattolo in mano. La forza alle mie spalle spinge e agisce su di me, invitandomi ad avvicinarmi a Klara che però pian piano si allontanava da me. Io allora preso da un istinto al gioco, inizio ad inseguirla, quando finalmente la raggiungo nel giardino della magione. La piccola apre la bocca e ride gioiosa insieme a me, posandomi sulle mie mani il carillon, poi, sempre entusiasto mi volto verso la casa, la quale però era in preda al fuoco alle fiamme e in completa distruzione… Klara, dal volto sempre luminoso e ridente, si avvicina a me stringendomi così anch’io le afferro la manina e ci sediamo allegri sull’erba dei campi verdi, guardando la casa cadere a pezzi…

 Mi risveglio dolcemente da un repentino strillare di sirene.

Corre verso di me una figura prima indistinta dallo stordimento dei miei occhi, e poi sempre più nitida e chiara: è Sara che si getta accanto a me… apro meglio gli occhio, pizzicanti dalla forte luce diurna; mi trovo a terra, giacente sul prato della mia villa, dolcemente accarezzato dai sottili fili d’erba brillante; un ammasso di gente è accalcata lungo tutto il viale, i vicini delle altre ville adiacenti alla mia sono radunate in vestaglia all’entrata di fronte al cancello dell’abitazione; numerose figure vestire di rosso e caschi, stringono in mano tubi e pompe, intenti a lanciare potenti getti d’acqua; altri due uomini si avvicinano sbrigativi a Sara aiutandomi ad alzarmi. Nonostante tutto mi sento bene, rilassato; in mano stringo un carillon bianco, proprio come quello che Klara nel sogno mi aveva ceduto. Davanti ai miei occhi, insieme ad altre centinaia di persone si presenta uno spettacolo immondo: l’intera dimora Bankester divampante tra fiamme alte decine di metri; una facciata della casa crolla in travi e polveri, lasciando scoperchiata mezza abitazione. L’intera villa era stata coinvolta in un incendio devastante…

Mi volto incredulo verso Sara Baiker, penetro nel suo sguardo addolorato, nei suoi occhi angustiati per me. Le sorrido; e sottovoce sussurro: <<A volte le cose che ci assillano e ci inquietano, si rivelano poi quelle stesse cose che ci salvano dalle braccia della sorte…>>

~ di darkray su 21 marzo 2010.

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