Mille corpi per uno d’amare

Tutto ciò che sono è tuo e tutto ciò che sei è mio…

Lui, il dottor Stephen Murry, con gli occhi traboccanti di lacrime si avvicinò al corpo delicato e taciturno di Meredith. Voleva piangere, desiderava sfogarsi da quella rabbia repressa che marciva dentro di lui e nel suo cuore; voleva risposte, solo degli appigli, dei riferimenti a cui aggrapparsi, una ragione concreta che lo spingesse ad andare avanti nella sua vita, la sua esistenza che egli definiva monotona e priva di vere emozioni come l’amore. Aveva trovato l’amore, se l’era costruito con tutte le sue forze, con tutta la sua volontà d’amare e d’essere amato, la sua famiglia e i suoi cari unificarono quest’amore, ma d’un tratto si rivelò solo e senza personalità per reagire… lentamente, ancora capace di trattenere dentro quell’oceano di lacrime agli occhi, s’inginocchiò ai piedi del lettino pallido, implorando preghiere confuse stringendo possentemente la mano di Meredith. Era rigida e argentea, come se stesse dormendo serenamente, per lui non era una semplice storia ciò che bruciava ardente tra loro due, era un’affinità particolare dell’amore, un amore esclusivo era il loro, ma durato talmente poco che non ebbe neanche tempo di germogliare.

Stephen poi la osservò pensieroso e malinconico; non aveva fede, speranze, la osservava solo in silenzio, pensando al suo corpo, toccandola profondamente, passionalmente. Era morta ormai. Le macchine grigie, lampeggiavano di piccole luci arancioni e verdi, emettevano regolari e intermittenti suoni meccanici in lieve sottofondo a quell’atmosfera di morte e oppressione. Era lì senza muoversi. L’elettrocardiogramma  fischiava, ogni tanto delle spie diventavano rosse, poi tornavano spente. Accanto al lettino dove giaceva Meredith, c’era un vassoio d’acciaio con lamette, bisturi e qualche tampone imbevuto di liquido rosso. L’orologio inchiodato al di sopra della porta scoccava le 6.40 del mattino e la cinerina ombratura della stanza si sfocava con i primi soffici raggi di sole che filtravano a strisce lunghe e sottili dalle tapparelle della persiana bianca. Il dottor Murry allora si alzò da terra e, rigido, si voltò, guardandosi attorno mentre si portava un fazzoletto turchese agli occhi umidi. Rimase così immobile a riflettere per dei minuti, sembrava che il tempo si fosse fermato tra le pareti bianche della sala operatoria. Trascorsero i secondi, trascinati uno dietro l’altro ammontando in minuti lunghissimi e interminabili, erano istanti di mistico silenzio… Stephen non batté ciglio, pensava a qualcosa. Forse una soluzione, un’idea angelica, paradisiaca, o forse gli stava, dentro di lui, scorrendo tutta la sua vita,  tutte quelle emozioni a cui voleva ridare nuovamente vita e vigore. Non si mosse neanche un attimo, rimase pensieroso a fissare il vuoto, a perdersi nel pallore di quella stanza…

Osservò muto un paio di attrezzi ferrosi presenti nella sala. Pensò. Poi decise di non arrendersi alla sorte della vita; sapeva che poteva fare qualcosa per recuperare quell’amore probabilmente perduto per l’eternità. Aveva costruito quell’amore e avrebbe potuto farlo risorgere! Sapeva di sapere: sapeva che una soluzione c’era, la più insolita ma forse la più efficiente e tempestiva… sapeva e poteva farcela! Voltò lo sguardo verso gli attrezzi operatori, si strinse alla vita il camice bianco e si avvicinò al corpo di Meredith afferrando uno di quegli apparecchi metallici e puntandolo al cuore di lei… non era morta del tutto!… se Stephen voleva… allora, forse, non era morta del tutto! Se davvero fosse successo allora avrebbe perso lei e tutta la sua famiglia, i suoi cari e i suoi parenti. Avrebbe davvero perso tutto definitivamente! Questo Stephen lo sapeva bene! Molto bene…

Impugnando così nella mano destra un bisturi affilato e nell’altra un morsetto d’acciaio, conficcò nella carne fredda la lama. Non fuoriuscì nemmeno un rivolo di sangue. Afferrò rapidamente un cavo elettrico che era vicino agli attrezzi chirurgici e lo conficcò nel torace di Meredith; agguantò dunque un leggero dilatatore e lo utilizzò per farsi spazio nella carne. Pose infine un casco metallico sul capo di lei e strinse robustamente intorno ai polsi gelidi delle maniglie di ferro e acciaio. La legò saldamente… prese degli altri utensili operatori e cominciò freneticamente a penetrare la pelle di Meredith, si avventò sul suo corpo, la forò su tutto il petto; stenti, schizzavano deboli zampilli di sangue grumoso che segnavano in fini rigagnoli la salma di Meredith con strisce ondulanti rosse. Afferrò l’avambraccio e lo ritorse bruscamente verso di sé, afferrò un paio di forbicioni e strappò brandelli di carne lacerandola in una poltiglia rossa. Conficcò ferocemente diversi cavi e connettori elettrici ad alta tensione nel torace del cadavere formando una vera e propria rete di conduttura a energia elettrica simile ad una fitta ragnatela…

Murry fece azionare quel complesso di elettricità; diede vigore alle macchine e all’energia. Avrebbe dovuto scatenare un inferno in quella stanza; avrebbe dovuto rianimare il suo amore, avrebbe fatto rinascere Meredith e contemporaneamente anche la sua famiglia, avrebbe voluto riaccendere un emozione unica, avrebbe riazionato la vita! Aumentò il voltaggio di elettricità dalla manopola rossa accanto alle manovelle; azionò gli interruttori e le onde di scossa sfrecciarono tra i cavi vibranti. Guardò le macchine grigie e la salma di Meredith. I minuti, i secondi svoltarono in un istante interminabile, poi spense i meccanismi!

Improvvisamente Stephen si fermò inquieto e con il cuore pompante in gola. In un istante si stese una nebbia di silenzio in tutto lo studio. Era come se il tempo si fosse inaspettatamente fermato, irrigidito, come se si fosse bloccato ad attendere, ad ascoltare, ad ammirare quella scena mista all’orrore, allo shock ma anche ad un folle amore presumibilmente svaporato in eterno e in un secondo… l’aria in quell’ambiente ora pesava più di mille parole; più di mille espressioni di gioia e di terrore. Solo un rigido senso di smarrimento squarciava l’animo di Stephen: quell’essere ancora vivo, che improvvisamente si chiese chi avesse creato lui, e perché valesse tanto la pena procedere a vivere tra i silenzi di mille rimorsi. Murry restò pietrificato senza respirare domandandosi cosa avesse fatto e cosa stesse rincorrendo nella sua breve esistenza: il vuoto che passa e travolge ogni emozione lascia una scia amara lungo il suo cammino: il silenzio profondo; mille domande di perché; mille motivi per morire… il corpo di Meredith era esanime, squartato in varie zone. Nulla cambiò. Nulla mutò rispetto al silenzio di prima.

D’un tratto però un’ultima scossa, forse l’ultima di scarico, frizzò lungo le gambe e il seno di Meredith; mille scintille azzurre per un attimo brillarono attorno al suo corpo, svanendo sempre nel silenzio primordiale. all’istante però sopraggiunse un movimento! La carne, divenuta violacea di Meredith si scosse, scaricandosi nella punta delle dita che iniziarono piano a fremere come se volessero evadere da quel corpo. Stephen inquieto si avvicinò agli attrezzi sul tavolo operatorio, dove posò quelli che stringeva in mano, ma non distolse mai lo sguardo dalla sua creatura. La fissava impietrito e sgomento: svuotato di passione ma ancora bruciante dalla speranza! Tolse dolcemente il casco metallico dal volto della donna; allontanò e sfilò i fili dalla carne e dalle protesi di ferro che avvolgevano in una stretta morsa le parti del corpo di Meredith. Fissò la sua creatura, il suo amore. All’improvviso si mossero articolazioni e muscoli quando inaspettatamente gli occhi della creatura si spalancarono lentamente verso il soffitto bianco della sala. Murry sorrise e sfiorò con le dita callose della mano le labbra di lei, non trattenendo più le lacrime agli occhi… Meredith volse lo sguardo dolcemente verso il suo amante sorridendogli e alzando il braccio sinistro verso gli occhi umidi del dottore; egli scoppiò in un mare di lacrime e si gettò inchinandosi sul petto della giovane. Ella richiuse gli occhi cominciando ad accarezzare i folti capelli del suo uomo. Allungò l’altro braccio sulla gamba e scollegò l’ultimo cavo elettrico che la teneva connessa alla spina; la creatura era felice di essere tornata in vita. Ogni pezzo di carne umana che componeva quella creatura mostruosa generata da Murry avevano ripreso vita e movimento. I pezzi di corpo umano cadaverici legati da protesi metalliche, odoravano di marcio e umido, ma si articolavano come prima. Il cuore dolce di Meredith aveva continuato a pulsare, anche se quel cuore apparteneva ad un altro corpo, un altro cadavere… quello della sua ex fidanzata Rosemary! In realtà tutto il corpo di quell’essere, che il dottor Stephen aveva battezzato Meredith, erano pezzi cadaverici di altre persone. Persone che il dottore conosceva bene e che aveva sezionato facendoli a pezzi secondo uno schema ben preciso: aveva sterminato la sua famiglia, ucciso i suoi genitori e le persone a lui care, comprese le ex fidanzate e aveva distinto le parti migliori di ciascun cadavere insieme agli organi interni, per poi ricucirli accuratamente con placche metalliche ed arti artificiali creando una sua nuova creatura: il cervello era quello di suo padre, il cuore ed il volto era della sua ex, le gambe della madre, il seno e gl’intimi della sua prima ragazza: Giulia, le mani della zia, i piedi della sorella, etc… aveva generato un nuovo essere, una nuova persona di cui si sarebbe fidato, con cui sarebbe stato davvero bene in tutti i giorni della sua quotidianità, un essere che avrebbe fatto sentire tutti i suoi affetti e i suoi cari vicini ed unificati in una sola persona: una persona che li raggruppasse, un mostro formato dalle loro menti, dai loro corpi dalle loro carni messe insieme. Mille corpi per uno d’amare: ecco Meredith…

~ di darkray su 1 aprile 2010.

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